Terza
tappa: Il dialogo. Siamo
approdati alla preghiera. Quando sappiamo instaurare un dialogo con Dio,
preghiamo. Quando Dio diventa persona, persona viva che sente, ci vede, ci ama,
partecipa (lui lo è sempre, ma non lo è per la nostra superficialità). E noi,
anche noi diventiamo persone vive, comunichiamo veramente con lui, e lui può
così comunicare veramente con noi. La preghiera si fa calda, apriamo a lui i
problemi con fede e lo ascoltiamo. La differenza con le due tappe precedenti è
enorme. Prima il centro della preghiera eravamo noi, ora comincia a esserci
anche lui, noi e lui, lui e noi. Nasce l’amicizia. Nasce il sondaggio della
coscienza. Nasce il ponte con Dio. I nostri problemi ora possono essere influenzati
da Dio. Dio può toccarci. Dio può guarirci. Dio può trasformarci. Siamo
approdati alla preghiera. Se siamo stabilmente a questo grado di preghiera
facciamo grandi progressi nella carità, nella fedeltà al dovere, nel distacco
dal male. Ma bisogna imparare a vivere stabilmente lì. Esige sforzo, anche
metodo: occorre imparare a concentrarsi, perché è un problema grosso di
concentrazione. Dio sfugge ai sensi! I sensi non operano mai un contatto
sensibile con Dio. Dio è spirito, è pensiero puro, solo se anch'io mi faccio
pensiero, ho modo di raggiungerlo. Esige sforzo, ma la preghiera dà i primi
risultati sorprendenti. Quarta
tappa:ascolto Giunti
al dialogo verrebbe da chiedersi: ma si può andare oltre? Non “si può “, “si
deve” andare oltre. La vetta della preghiera non è ancora qui. Occorre giungere all'ascolto Quando la preghiera si fa abitualmente ascolto siamo molto in alto
nella preghiera. Naturalmente bisogna essere lì stabilmente non a sprazzi. Chi
non è allenato alla preghiera può anche far una puntatina a questo grado di
preghiera, poi Cala subito giù. E’ faticoso. Come si fa? Occorre partire dalla
purificazione, bisogna imparare a scorticare l’orgoglio. Bisogna farsi verità.
Diventar verità. Dio non riesce a parlarci finché non abbiamo imparato a toglierci
le maschere dal volto. Ecco la prima operazione importante: dirci la verità,
calarci nella verità, fare la verità dentro di noi. Metterci davanti alle
nostre miserie con grande coraggio, dir pane al pane, vino al vino. Viviamo di
sotterfugi. Prima di entrare in contatto con Dio bisogna capovolgere la nostra
situazione di comodo, capire l’orrido delle nostre miserie, metterci in povertà
assoluta davanti a lui. Quando siamo diventati schiettezza, allora Dio può
veramente irrompere... e parlare. Dio parla. Per quali vie parla? Normalmente,
si potrebbe dire che Dio usa cinque canali di trasmissione per comunicare con
l’uomo di buona volontà. La
mente: Dio ci fa capire. Fa capire i problemi in una luce nuova, spesso in modo
così chiaro che crollano le illusioni e si fatica ad avere la pace. Ma Dio non
agita. E’ Satana che agita, Dio no. La voce di Dio è sempre così composta, così
delicata che basta un nonnulla a soffocarla. La
volontà: Dio ci fa volere. La volontà è mossa verso una direzione di chiarezza.
E’ come se un pezzetto di ferro entrasse in un campo magnetico; la volontà si
orienta a Dio, si fa docile come un pezzo di ferro a contatto di una calamita. Si
sente ciò che si deve fare e si ha la forza per farlo. E’ Dio che ci ha
toccati. Le
emozioni: Tutti hanno sperimentato forse dei momenti intensi di gioia dopo la
preghiera prolungata. E’ una cosa difficile a spiegare: a volte è gioia, a
volte è solo pace profonda, a volte è commozione. E’ probabile che Dio abbia
toccato la nostra sensibilità. Se seguono frutti concreti di bene, è quasi
sicuro che quella emozione è frutto di un contatto vero con Dio. Diciamo: “è
quasi sicuro “, solo perché il mondo dello spirito come può essere controllato?
Ma “dai frutti conoscerete l’albero” ha detto il Signore. Se questi momenti di
intimità con Dio scatenano la nostra generosità, maturano alla carità, ci
distaccano dall'egoismo ci rendono umili, i frutti ci sono. Occorre aggiungere:
Dio non parla alle nostre emozioni sempre in tono piacevole; quando ci parla
col rimorso, la scontentezza, il vuoto, non è piacevole, ma Dio attende che
rispondiamo. Sentire i nostri limiti è già un’azione di Dio in noi, è già un
vero dono di grazia. Dio attende la risposta. L’immaginazione:
Nel dialogo di Giovanna d’Arco di Bernard Shaw, il giudice dice alla fanciulla:
“quelle voci che senti provengono dalla tua immaginazione “. Naturale! risponde
Giovanna d’Arco all'inquisitore Dio non ha altra via che la nostra
immaginazione per parlarci. Ma è Dio che parla! “. Nella nostra vita ci sono
momenti di grande lucidità in cui Dio ha parlato in modo chiarissimo: quasi
tutti l’hanno sperimentato. Certo è un discorso che non va fatto ai sognatori.
In certi momenti la voce della coscienza è così netta, così in contrasto con
tutto quello che vorremmo noi che non si può dubitare di una presenza divina
che “conta i capelli del capo” e interviene in momenti determinati della nostra
esistenza influenzando le nostre decisioni. La
memoria: Dio a volte ci parla facendoci ricordare dei passi sbagliati che
abbiamo fatto, ci influenza coi ricordi passati: pene o gioie, fallimenti o
successi, richiami sentiti, parole, consigli, testimonianze avute, cose viste e
imparate, ma che avevamo dimenticato. Qualche volta ci parla con delle
nostalgie del passato, quando abbiamo amato intensamente, o ci parla ricordando
l’amarezza d’uno sbaglio o di un peccato. Dio parla! Quanto parla! Il problema
è solo rispondergli. Quando poi vogliamo provocare Dio nella sua voce diretta
c’è la sua parola scritta, la Sacra Scrittura. E’ un argomento che merita una
trattazione a parte, tanto è importante per la preghiera.
mercoledì 23 gennaio 2013
I GRADI DELLA PREGHIERA
La
preghiera è un cammino con delle tappe di crescita. Il bambino che va a scuola
prima deve imparare a tenere la matita in mano, poi imparerà a fare i segni;
solo più tardi imparerà a scrivere; alla fine, cresciuto, sarà in grado di
imparare anche a stenografare. Ma l’apprendimento della scrittura procede per
tappe ben precise, che l’interessato spesso non percepisce neppure. Così è il
cammino della preghiera. Se c’è metodo e applicazione, c’è sviluppo e crescita
graduale e armoniosa. Se non c’è metodo nè applicazione, sono impediti la
crescita e lo sviluppo. Non si deve lasciare la preghiera a se stessa, è una
incoscienza. Se in un orto volete una buona produzione di ortaggi dovete darvi
da fare. Un orto lasciato a se stesso vi dà solo qualche ciuffo d’insalata. L’esperienza
sembra suggerirci di poter affermare che la preghiera ha cinque tappe di
crescita, è come una montagna da scalare. Prima
tappa: possiamo chiamarla la tappa “parole vuote “.E’
la preghiera non “informe” ma “deforme “, cioè la non-preghiera. Potremmo non
considerarla preghiera, non merita questo nome, ma essendo un tipo di preghiera
tanto diffusa siamo costretti a parlarne. Gesù Cristo l’ha condannata, l’ha
esclusa: “quando pregate non moltiplicate vane parole come i pagani “. (Mt. VI,
7)Purtroppo è diffusissima: i rosari malmenati, le messe alla svelta, i
sacramenti buttati alla rinfusa, le comunioni, le confessioni diventate una
“routine” sono abitudini molto diffuse. E’ una desolazione. E’ una bestemmia.
E’ una eresia. E tante persone vivono legate a quel tipo di preghiera tutta la
vita. Si esce? Certo! Ma è come guarir dal cancro. Il verbalismo infatti è il
cancro della preghiera. Il cancro non si cura con una iniezione: ci vuole
l’intervento chirurgico o le applicazioni al cobalto che brucino i tessuti
infetti. Ci vuole coraggio. La prima cura è esserne inorriditi. Chi non si
sente malato non esce. Chi dorme sonni beati non guarisce. Seconda
tappa: quando la preghiera si fa monologo. Quando
cioè pregando, di tanto in tanto ci si rende conto che si sta parlando con Dio
e si fa un po’ di attenzione a quello che si dice, ma Dio è ancora lontano
mille miglia, Dio non è persona, Dio non è vivo, Dio non è sentito, è una
realtà della stratosfera, non è una presenza, allora siamo al monologo. Il
monologo è parlare a se stessi, interloquire con se stessi. Non è comunicare,
comunica forse con gli altri uno che parla con se stesso? No, è solo un tipo
strano, che probabilmente non comunica nemmeno con se stesso. Gira a vuoto. E’
molto frequente questo modo di pregare. E’ un pregare anche pericoloso, perché
chi prega così ha l’illusione di fare, ma non fa. Se non pregasse affatto forse
guadagnerebbe, perché presto o tardi cercherebbe un rimedio. E questo tipo di
preghiera non opera sui nostri mali; lascia il tempo che trova. Non guarisce i
mali. Addormenta la coscienza.
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